giovedì 21 maggio 2009

I primi risultati degli scavi archeologici presso la Caverna delle Arene Candide (SV)


Quando l'unione fa la forza: pubblico e privato sostengono le ricerche archeologiche nella Caverna delle Arene Candide (Savona)Sono ripresi dopo oltre sessanta anni gli scavi archeologici presso la Caverna delle Arene Candide, uno dei più rilevanti siti archeologici preistorici dell'area Mediterranea. Alla conclusione dei primi tre mesi di ricerche gli archeologi tracciano un primo bilancio delle nuove scoperte.Gli scavi sono una delle azioni previste dal Programma Integrato di Conoscenza e Fruizione "La Caverna delle Arene Candide", condotto dalla Direzione Regionale del Ministero per i beni e le attività culturali. Essi si avvalgono della collaborazione scientifica di diverse Università italiane e straniere, del sostegno logistico del Comune di Finale Ligure e di una sponsorizzazione della Freddy Spa, azienda italiana di abbigliamento sportivo, recentemente impegnata nei Giochi Olimpici di Pechino 2008 quale fornitore ufficiale della squadra italiana.L'equipe di archeologi e antropologi, che dalla metà di luglio ha lavorato nella Caverna delle Arene Candide, è riuscita a rintracciare i limiti degli scavi condotti più di sessanta anni fa da Luigi Bernabò Brea e Luigi Cardini, che portarono alla scoperta della famosa sepoltura del "Giovane Principe". Come afferma il prof. Julien Riel-Salvatore della McGill University di Montreal "questo lavoro ci ha permesso di individuare diversi livelli ancora intatti riferibili a due differenti momenti del Paleolitico, il Gravettiano e l'Epigravettiano, tra 30.000 e 10000 anni fa". In uno spazio di circa dodici metri quadrati sono stati accuratamente sfogliati strati di terreno accumulatisi migliaia di anni fa, che hanno rivelato al loro interno numerosi attrezzi in pietra, la maggior parte dei quali sono stati fabbricati con materie prime di alta qualità provenienti da aree anche molto lontane (Marche, Francia), a conferma di come questa caverna rivestiva un ruolo "speciale" nella rete di scambi e contatti che univa le comunità umane. Una serie di campioni di legno bruciato di Pino Silvestre (l'albero dominante nel paesaggio dell'era glaciale) e di sedimenti è stata prelevata con l'obiettivo di effettuare analisi di laboratorio e datazioni radiocarboniche, per ottenere informazioni più puntuali sulle fasi di occupazione da parte dell'uomo della caverna durante le ultime fasi del Paleolitico. Di particolare interesse è la scoperta di un dente umano che indica, senza dubbio, come il terreno conservato all'interno della grotta possa ancora restituire resti fossili dei nostri progenitori, che potranno gettare nuova luce sui loro modi di vita, sulla loro alimentazione, malattie e cause di morte.Roberto Maggi, archeologo responsabile del Programma Integrato di Conoscenza e Fruizione «La Caverna delle Arene Candide» sottolinea, in particolare, come questi primi importanti risultati - che riceveranno nuovo impulso con le più ampie campagne programmate anche per il 2009 - siano stati possibili proprio grazie al dialogo e alla collaborazione tra pubblico e privato, che uniti insieme sostengono finanziariamente i progetti di ricerca e valorizzazione in corso nella Caverna delle Arene Candide. La ripresa degli scavi è il primo passo di un progetto ambizioso che mira a fare dello scavo archeologico un "evento" al quale possano assistere ed in un qualche modo partecipare i numerosi appassionati di Preistoria e chi in generale ha curiosità per il passato e le nostre origini. Il progetto delle opere strutturali, che di fatto renderanno possibile a tutti l'accesso alla Caverna delle Arene Candide, verrà ufficialmente presentato nei prossimi mesi, presumibilmente entro la fine dell'anno, alla conclusione dei necessari iter amministrativi di approvazione. Importante sottolineare come, anche tali aspetti del progetto di valorizzazione del sito archeologico, siano fondati sullo sviluppo di sinergie e azioni congiunte di tipo pubblico-privato, nei quali sono coinvolti il Ministero per i beni e le attività culturali, la Regione Liguria, il Comune di Finale Ligure e la Società Cava Arene Candide Srl.

Redazione Archeogate, 10/10/2008

mercoledì 20 maggio 2009

Museo Archeologico di Genova Pegli - visita virtuale

http://www.youtube.com/watch?v=gqpF4kuSLVg

LE VENERI DEL PALEOLITICO

Scoperta in germania. E' la più antica rappresentazione del corpo femminile
Trovata Venere di 35mila anni fa scolpita nell'avorio di mammuth
Questo ritrovamento fa pensare che l'arte del paleolitico fosse molto più ricercata di quanto ritenuto finora
(Epa)MILANO - Una statuina scolpita nell'avorio di una zanna di mammuth circa 35 mila anni fa è stata trovata nella Germania meridionale da un archeologo tedesco, che la ritiene la più antica rappresentazione del corpo femminile finora conosciuta. La statuina, lunga appena sei centimetri, farebbe pensare che l'arte del paleolitico era molto più ricercata di quanto ritenuto finora, secondo il professor Nicholas Conard, dell'Università di Tubingen, che ha illustrato la scoperta in un articolo pubblicato dalla rivista Nature.


PRIMA RAPPRESENTAZIONE FEMMINILE - Sei frammenti della statuina sono stati rinvenuti nel settembre 2008 durante scavi archeologici a Hohle Fels, nel massiccio del Giura Svevo, una zona montuosa emersa dal mare giurassico milioni di anni fa. Messi assieme, i frammenti hanno rivelato una figura femminile con il seno e i fianchi molto pronunciati. E la statuina è stata subito ribattezzata la "Venere di Hohle Fels". «Prima di questa scoperta, non erano mai state rinvenute rappresentazioni del corpo femminile del paleolitico. Inoltre, le forme della statuina focalizzano l'attenzione sulla sua sessualità esplicita, quasi aggressiva», scrive Conard. Gli esami al radiocarbonio datano la scultura tra i 31 mila ed il 40 mila anni fa.

(Coriere della Sera 13 maggio 2009)

martedì 19 maggio 2009

Un'idea per una possibile proposta di didattica a Pegli presa dal meraviglioso Museo Civico di rovereto.

Campo Archeonatura
02.08.2009 - 08.08.2009TerragnoloAttività didattica
Estate 2009 - Settimana di archeologia sperimentale per ragazzi e ragazze dai 10 ai 17 anni

CAMPO DI ARCHEONATURA località Geroli di Terragnolo 02 - 08 agosto 2009

Quest’anno il Museo Civico di Rovereto, con la collaborazione della Società Museo Civico, propone un campo estivo sul tema "Il mestiere dell'archeologo". Le attività previste daranno ai ragazzi la possibilità di immedesimarsi nel ruolo di un "conservatore" di museo, cioè di colui che fa ricerca scientifica, raccoglie dati, reperti, documenti, scava, cataloga, classifica, colloca nel tempo e conserva i reperti per garantire memoria e tutela del passato. La settimana inizierà domenica 2 agosto alle ore 18.00 presso Maso S. Giuseppe (gestito dalla Cooperativa la Casa) a quota 700 m, in località Geroli di Terragnolo (Piazza di Terragnolo) e terminerà nella mattinata di sabato 8 agosto con la presentazione dei lavori svolti presso la struttura alle ore 11.00. Durante la settimana non mancheranno ricche attività, non solo archeologiche, per scoprire i molti aspetti naturalistici del territorio. Responsabile del campo sarà Renato Fasolo, con gli animatori e altri collaboratori del Museo. Periodo di svolgimento: dal 2 agosto al 8 agosto, in località Geroli di Terragnolo Partecipanti: ragazzi/e dai 10 ai 17 anni, per un numero massimo di 20 unità Quota di partecipazione: Euro 300 a settimana a persona (N.B. metà quota deve essere versata al momento dell’iscrizione presso la biglietteria del Museo; il saldo verrà dato a inizio settimana ai responsabili) Iscrizioni presso: Museo Civico di Rovereto, B.go S. Caterina n. 41, Tel. 0464/439055 entro fine giugno 2009 (fino ad esaurimento di posti) Ai partecipanti sarà comunicato il programma dettagliato dell’iniziativa.

venerdì 15 maggio 2009

I GRUPPI EVOLUTIVI DELLE STATUE STELE



GRUPPO A





Le statue stele appartenenti al gruppo A sono più stele che statue, con tratti antropomorfici molto stilizzati, semplici e avari di dettagli. La testa è un prolungamento del corpo, dalla tipica forma a U, una linea clavicolare retta e due braccia. Le dita sono presenti solo in poche statue. Quelle maschili hanno un pugnale disegnato solo di profilo, con la lama triangolare, una impugnatura corta e pomulo semicircolare. Quelle femminili sono rappresentate con seni separate stilizzati come piccolo dischi. Le nove statue di Pontevecchio ritrovate appartengono a questo gruppo, così come la statua di Casola e di Moncigoli.




GRUPPO B



Le statue di questo gruppo mostrano nuove caratteristiche e una migliore accuratezza nell’esecuzione dei segni antropomorfi. La loro epoca si può racchiudere fra il 1800 ed il 1100 a.C. La caratteristica principale e diversa è la forma della testa, separata dal corpo da un collo cilindrico e simile al cappello di un carabiniere. Il collo può essere ancora ad U, ma sono presenti anche altri particolari come gli occhi. Le armi delle statue maschili sono i tradizionali pugnali triangolari, a volte più dettagliati e con un’ascia a forma di L con un lungo manico. Le statue femminili hanno seni semi sferici e a volte gioielli stilizzati, come la collana della Filetto IV e della Treschietto e Sorano II. Molte delle statue stele di questo periodo sono state spezzate, intenzionalmente, soprattutto le teste e i seni, a causa probabilmente di un’attività iconoclasta.




GRUPPO C







Le statue di questo gruppo sono le più recenti, risalenti al primo millennio prima di Cristo, e si tratta solamente di statue stele maschili, più statue che stele. La figura è raffigurata con uno stile più realistico e con una ricchezza di particolari sconosciuta ai monumenti precedenti. La testa è arrotondata, staccata dal corpo, con naso, occhi, bocca e orecchie ben delineati. Lo stesso per le mani e le braccia. Alcuni particolari delle armi e dei vestiti sono scolpiti a tutto tondo.

L'uomo preistorico e il sito dei Balzi Rossi



La Liguria fu abitata fin dal Paleolitico: nel sito dei Balzi Rossi, a poche centinaia di metri dal confine francese, si trovano caverne frequentate fin dal Paleolitico inferiore. Nella fase successiva del Paleolitico medio, l'uomo di Neanderthal occupò, oltre ai Balzi Rossi, anche altre grotte liguri, come un riparo nei pressi di San Remo, la grotta litoranea della Madonna dell'Arma, presso Taggia, la grotta del Colombo a Toirano e, nel Finalese, la Caverna delle Fate e l'Arma delle Manie.Molto ricca è inoltre la documentazione relativa al Paleolitico superiore, epoca in cui comparve l'Homo sapiens sapiens, e si ebbero le prime manifestazioni d'arte. Alle caverne dei Balzi Rossi gli scavi hanno portato alla luce, oltre a migliaia di strumenti litici, statuine e incisioni su roccia, anche numerose sepolture con ricchi corredi. Allo stesso periodo risale la frequentazione di alcune grotte della Val Varatella e della Val Pennavaira; nella grotta della Bàsura a Toirano si sono conservate nel pavimento fangoso le impronte di mani e piedi appartenenti ad individui vissuti circa 12.000 anni fa. Molto nota è anche la sepoltura rinvenuta nella caverna finalese delle Arene Candide, detta del "Giovane Principe": si trattava di un adolescente, morto per un violento trauma, forse durante una battuta di caccia, e sepolto con un corredo ricchissimo di ornamenti.
Durante il Mesolitico i gruppi umani praticavano sia la caccia sia la raccolta di molluschi e di frutti spontanei: oltre alla frequentazione delle grotte, si sono conservati resti di accampamenti stagionali in quota, come sul Monte Aiona (Rezzoaglio).
Il Neolitico si manifestò in Liguria nel corso del VI millennio a.C., con l'arrivo di popolazioni meridionali che recarono con sé le competenze necessarie a sviluppare l'agricoltura e l'allevamento, insieme alla capacità di produrre ceramica (Cultura della Ceramica Impressa). Caratteristica della fase piena del periodo è la produzione di recipienti dalla forma particolare, i vasi a bocca quadrata, la cui invenzione si diffuse dalla Liguria a gran parte dell'Italia settentrionale. In questo periodo numerose caverne finalesi furono intensamente frequentate, come, ad esempio, quelle delle Arene Candide e della Pollera.
A partire dal III millennio a.C., con l'Età del Rame, la Liguria apparteneva ad un'area percorsa da scambi culturali abbastanza intensi, che si estendeva alla Lombardia occidentale, al Piemonte e alla Francia sudorientale.Alle estremità della regione si trovano due realtà culturali particolarmente interessanti. Nel cuore delle Alpi marittime, in territorio ora francese, le rupi del monte Bego hanno accolto oltre 100.000 incisioni rupestri: vi sono rappresentate schematicamente scene agricole, pastorali e guerriere realizzate nel corso di tre millenni per motivi religiosi dai pastori che praticavano la transumanza.Nell'area più orientale della Liguria, in Lunigiana, fiorirono comunità che sono oggi testimoniate da numerose statue-stele, lastre in pietra d'aspetto antropomorfo e di grande interesse artistico e antropologico.
A partire dalla fine dell'Età del Bronzo e per tutta l'Età del Ferro, a causa di condizioni di generale instabilità e di spostamenti di popolazioni, le genti liguri occuparono la sommità delle alture, costruendo villaggi arroccati, difesi da cinte murarie in pietre a secco, i cosiddetti "castellari": grazie a questi insediamenti erano in grado di controllare valichi, zone di passaggio, pascoli e aree coltivate.
Dal VI secolo a.C. le fonti letterarie greche iniziarono a parlare del popolo dei Liguri, il cui territorio si estendeva anche nel Piemonte meridionale, oltre che fino a Marsiglia e a Pisa.Nella prima Età del Ferro le principali località costiere liguri erano interessate da intensi contatti culturali e commerciali: lo testimoniano le importanti necropoli ad incinerazione rinvenute a Chiavari, Genova ed Ameglia, con corredi che attestano l'esistenza di traffici con tutto il Mediterraneo.

giovedì 14 maggio 2009

Il Museo dell'Archeologia Ligure e i soggetti con deficit visivo. Punti tattili e percorsi multisensoriali


Lo studio dei reperti del passato inizia dall'esame diretto dell'evidenza, prima ancora che venga effettuato qualsiasi tipo di analisi, paragone o contestualizzazione. Così anche l'archeologo, come qualsiasi altro visitatore del Museo, può condividere la comune esperienza dell'esame dei reperti, per lo meno dal punto di vista sensoriale e cognitivo. Questo è tipico anche della maggior parte delle esperienze educative, in cui un coinvolgimento fisico ed emozionale porta aldilà del coinvolgimento intellettuale.
La maggior parte delle iniziative del Museo dell'Archeologia Ligure di Pegli è rivolta specificatamente alle scuole. La possibilità di compiere un'esperienza tridimensionale e multisensoriale ha recentemente incoraggiato la progettazione di materiali, attività e percorsi di visita adatti anche ai visitatori disabili del Museo.

Punti tattili. Lungo il percorso di visita, in varie sale del Museo, sono presenti punti tattili realizzati in collaborazione con l'Unione Italiana Ciechi e l'Istituto David Chiossone di Genova. Contengono riproduzioni di attrezzi e campioni di materiali grezzi aventi un significato particolare per quanto riguarda la preistoria. Essi possono essere toccati da tutti i visitatori e testi in Braille spiegano il loro significato.

Visite tematiche con un archeologo. Sono organizzate a gruppi e possono coinvolgere visitatori disabili che vengono guidati attraverso una selezione di stanze, materiali esposti e temi di interesse specifico.

Laboratori. I laboratori costituiscono una fase importante nella visita di un Museo, poichè permettono un'esperienza pratica con materiali naturali veri (selce, diaspro, ossidiana, ceramiche, ossa, corna, avorio di mammuth), riproduzioni di reperti (veneri paleolitiche, scuri, corredi sepolcrali), oggetti ricostruiti (manici di attrezzi, vasi rotti, gioielli). I laboratori permettono un'esperienza concreta delle usanze, delle tecniche, degli atti e dei momenti della vita quotidiana del passato.

Tutte le attività citate si sviluppano grazie ad una costante collaborazione scientifica con il personale del Museo. Una recente ricerca sulle tombe paleolitiche della Caverna delle Arene Candide, in particolare sulla tomba del cosidetto Giovane Principe hanno condotto ad alcuni interessanti sviluppi. In collaborazione con lo Human Reconstruction Laboratory dell'Istituto di Antropologia dell'Accademia delle Scienze di Mosca è stato possibile ricostruire la faccia del Principe delle Arene Candide partendo dal suo cranio. L'analisi dei resti del suo corredo sepolcrale e un confronto con altre tombe europee ha condotto ad una ricostruzione degli abiti del giovane cacciatore vissuto durante l'ultima glaceazione. Per dare spazio a questi sviluppi si è dedicato al Principe un talking book, che integra testo, discorso ed immagini grazie a Microsoft Power Point. Testi ed immagini sono resi accessibili anche ad utenti con menomazione della vista,
adottando semplici regole come l'uso di forti contrasti tra il testo ed i colori dello sfondo, la doppia spaziatura tra le parole, l'adozione di caratteri non inferiori a 20. Un simile ipertesto può essere utilizzato da tutti gli studenti in modo che i ragazzi con deficit della vista non debbano sentirsi diversi dagli altri.
I risultati parlano chiaro: nel 2004/2005, da quando sono stati adottati i percorsi multisensoriali, le scuole sono arrivate a costituire la terza parte dei visitatori del Museo dell'Archeologia Ligure. Questa esperienza si presta ad essere riprodotta in altri musei per illustrare altri "reperti culturali" a soggetti con problemi visivi. Il potenziale di questa comunicazione è enorme e permette ad ogni visitatore di seguire il suo percorso di apprendimento seguendo le sue preferenze e i suoi interessi personali.

Grotta Arene Candide-Scheda Tecnica-

Tipo: Grotta
Stato: Italia
Provincia: Savona
Comune: Finale Ligure
Località: Arene Candide
Frazione: Caprazoppa
Area carsica: Borgio - Caprazoppa
Numero catastale: 34 LiSviluppo: 667 m
Dislivello: -15Longitudine: 8° 19' 41.3'' ELatitudine: 44° 9' 42.6' NDatum: WGS84Quota: 86 m slmCartografia: IGM Loano 92 II NO
Geologia:Questo importante reticolo carsico si è sviluppato nei calcari marmorei puri del periodo giurassico (150 milioni di anni), del Promontorio della Caprazoppa, quando questo era completamente saturo di acqua dolce, e cioè si trovava in condizioni simili a quelle in cui si è trovata la Grotta degli Scogli neri e in cui è attualmente il Buranco de Dotte. La conseguenza di questa origine è la vicinanza di grandi sale collegate da un reticolo fittissimo di cunicoli e gallerie che si incrociano formando un vero e proprio labirinto.
Itinerario di accesso:Da Borgio Verezzi, superata la ferrovia, si prende la strada che a destra porta verso Verezzi, abbandonandola poi per seguire il tracciato che corre lungo il fianco delle rocche dell'Orerà. Quindi si continua per uno sterrato che si dirige verso la cava Ghigliazza la quale ha distrutto parte del monte della Caprazoppa e parzialmente intaccato anche la grotta. Attualmente quindi essa si apre su di uno strapiombo, dominante la cava stessa e non ha più davanti quel piano digradante di sabbie che le hanno dato il nome. Nota Bene: La grotta non è visitabile in quanto la strada è stata sbarrata dagli addetti alla cava e più oltre, all'inizio della discesa che conduce all'entrata della grotta, la Soprintendenza ha posto un cancello di protezione; altre sbarre sono state situate a chiudere l'imboccatura della caverna, essendo pericoloso percorrerla dopo gli ultimi lavori effettuati. In un futuro dovrà essere attrezzata turisticamente.
Descrizione:La cavità si presenta di forma allungata in senso Est-Ovest con apertura divisa in due da un enorme masso oggi saldato alla volta da concrezioni stalagmitiche. Il varco principale immette nella Sala Issel, alla cui destra, attualmente all'altezza di 5-6 metri di altezza, si apre il Ramo Gandolfi, ricco di concrezioni e stalagmiti. Questo ramo, con varie diramazioni, verso il fondo si affaccia su una finestra a strapiombo sulla sottostante cava. Dalla Sala Morelli, a cui si accede per un restringimento delle pareti ed un abbassamento della volta dalla Sala Issel, per uno stretto cunicolo, che si apre a livello del terreno, ci si immette in una serie successiva di complessi cunicoli, a sinistra verso la Sala Solari, ingombra di massi e verso destra in un labirinto di passaggi che si sviluppano a monte della Sala Issel e ad un livello più basso.
Storia archeologica della grotta: La grotta venne esplorata nel 1864 da Arturo e Alberto Issel e dal Professor Perez di Nizza. Successivamente Arturo Issel vi ritornò con G. Ramorino; a queste ricerche seguirono quelle di don Perrando e al principio del 1874 quelle di Y. Brown Montagli e V. Brooke, anche con intenti naturalistici, accompagnati da Issel. In seguito vi ritornarono don Perrando, A,G. Barrili e Alberto Issel. Nel 1883 avvennero gli scavi Wall concentrati alle spalle della colonna al centro della Sala Issel, subito seguiti da quelli di Morelli anche con Arturo Issel e E.A. d'Albertis fino al 1887; infine anche Rossi vi fece la sua raccolta di materiali. Gli scavi recenti hanno avuto inizio nel 1940 a cura di L. Bernabò Brea e L. Cardini, finalmente con criteri scientifici attuali e si protrassero fino al 1950. Gli ultimi saggi vi sono stati condotti da S. Tiné tra il 1971 e il 1975, riportando alla luce le vecchie trincee dei sondaggi di Issel e altri. Attraverso tutti questi scavi, le Arene Candide hanno mostrato una ricchezza di materiali tale da venire definita la più completa successione della preistoria ligure. L'ampiezza della grotta e la sua esposizione hanno favorito l'insediamento dell'uomo da epoche forse più antiche di quelle attualmente accertate. Infatti gli scavi più profondi condotti da Cardini si sono arrestati all'epoca del Paleolitico Superiore (a m 8,50 di profondità) senza che però il terreno si sia ancora interrotto. Questo giacimento riprende quindi la storia dell'uomo da dove è stata sospesa nel Paleolitico Medio alle Fate. Non bisogna però pensare alle Arene Candide come ad un lungo film della preistoria, ma come ad un documentario ad episodi separati anche da lunghi intervalli di tempo, che coprono tutte le fasi più salienti della storia non scritta dell'uomo. Durante l'epoca successiva al Paleolitico Medio (circa 20.000-18.000 anni a.C.) in un'alternanza di climi caldi e freddi e di faune e flore conseguentemente adattate, l'uomo sapiens viveva alle Arene Candide o vi seppelliva i propri morti (fig. 1). In un clima freddo la fauna da cacciare era rappresentata da marmotta, stambecco, arvicola delle nevi, orso, jena e, tra gli uccelli, dal gracchio corallino. L'uomo produceva piccoli strumenti con cui dar loro la caccia e tutta una serie di strumenti in osso per completare l'equipaggiamento. Successivamente egli abbandonò la grotta e vi ritornò circa 11.000-10.000 anni fa. Il clima divenne più mite, comparvero il cervo, il cinghiale e l'uomo si nutriva anche di molluschi raccolti in mare. Espresse la sua arte dipingendo su ciottoli e variò la sua attrezzatura da caccia, adattandola agli animali che era costretto a cercare. Ancora una volta poi abbandonò la grotta che venne utilizzata come necropoli: i corpi venivano inumati, posti su letti di ocra rossa con corredi di strumenti in selce e osso, macinelli, collane di conchiglie di Nassa, Patella e Pectunculus e denti di cervo forati. Poi segui ancora un momento di abbandono. Quando l'uomo vi ritornò possedeva ormai una cultura più avanzata: era diventato l'uomo agricoltore. Suddivise la grotta in aree dalPutilizzo preciso, innalzando palizzate e tettoie. La sua strumentazione si fece più complessa e articolata a seconda dei bisogni. Imparò l'uso della ceramica delle fibre e inventò la tessitura. La navigazione era sufficientemente sviluppata da muoversi agevolmente attraverso il Tirreno, tenendosi in vicinanza delle coste e sfruttando le correnti. Attraverso le Arene Candide passarono in seguito anche le popolazioni del III millennio a.C, in possesso della metallurgia, proprio quando anche la Liguria cominciava ad assumere un suo ruolo in questo commercio. L'uso della grotta era più limitato, in quanto l'uomo preferiva usufruire di insediamenti esterni. Un lento abbandono si segnala per tutto il li e il I millennio i cui resti divengono sempre più rari. Un'ultima presenza si nota in epoca classica, ma forse soltanto dovuta a sporadiche visite; quindi l'allontanamento definitivo. Giuliva Odetti Tratto da "Le Nostre Grotte"

martedì 12 maggio 2009

In Liguria il passato è sempre presente: Le Arene Candide e gli scavi del 2006

Finale Ligure. Il consiglio comunale di Finale Ligure ha approvato la convenzione che sarà firmata fra lo stesso Comune, la Soprintendenza per i Beni archeologici regionali e la società Antiche Cave Spa, per effettuare una nuova campagna di scavi e ricerche archeologiche nella Caverna delle Arene Candide, l’ampia cavità in cui fu rinvenuta nel 1942 l’eccezionale sepoltura di un giovane, il “Principe delle Arene Candide”, risalente a 24 mila anni fa, che, per la ricchezza del corredo e le straordinarie condizioni di conservazione, rappresenta forse la più importante sepoltura del paleolitico superiore europeo.Gli scavi inizieranno nei prossimi mesi e saranno finanziati dallo Stato con un contributo di 416 mila euro e dalla Antiche Cave Spa con un contributo di 50 mila euro. Alla campagna parteciperanno archeologi italiani ed alcune università americane. Visti i risultati conseguiti in precedenza, si può presumere che la ripresa degli scavi produca ulteriori ritrovamenti di rilevanza internazionale, comprese sepolture paleolitiche analoghe a quella del “Principe”.“L’intenzione è di dar vita ad un parco archeologico che, insieme alle grotte di Toirano e ai Balzi Rossi di Imperia, vada a creare un contesto di tale importanza da poter essere dichiarato patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco - dice il vice sindaco e assessore all’urbanistica del Comune di Finale Ligure Giovanni Ferrari - Il primo passo sarà la creazione di una Fondazione, di cui faranno parte enti pubblici e privati. Inoltre, in occasione dell’apertura della campagna di scavi, la sepoltura del Principe, conservata nel Museo Archeologico di Genova Pegli, sarà temporaneamente ospitata e visibile al pubblico nel Museo Archeologico del Finale”.Nell’ex polveriera delle cave sarà realizzata una struttura di supporto logistico per i ricercatori. In seguito, l’area degli scavi sarà resa fruibile al pubblico, che potrà accedervi sia dall’Aurelia sia dalla strada napoleonica sovrastante, il cui ripristino è previsto nell’ambito del progetto di recupero delle ex cave.La celebrità internazionale delle Arene Candide deriva dalle fortunatissime campagne di scavi archeologici che furono effettuate negli anni 1940-42 e 1948-50. Esse portarono alla scoperta di 19 sepolture paleolitiche, fra cui quella del “Principe”.Gli scavi finora condotti non hanno mai raggiunto il fondo della caverna, che alcune prospezioni geoelettriche pongono alcuni metri più in basso della massima profondità raggiunta nel ’42. E’ perciò possibile che si conservino intatti gli strati che contengono la registrazione del cruciale passaggio/sostituzione fra l’Uomo di Neandertal e la nostra specie, l’Uomo Sapiens, avvenuto attorno a 35 mila anni fa.La Caverna delle Arene Candide si trova a circa 90 metri sul livello del mare, sul versante occidentale del promontorio della Caprazoppa, sul margine superiore dell’ex cava Ghigliazza. Le Arene Candide erano una duna di sabbia quarzosa, bianca (candida), che i venti dell’ultima glaciazione avevano addossato al promontorio. Ritratta in alcune fotografie dei primi anni ’20, la duna è stata poi completamente rimossa dalle attività di estrazione della cava, chiusa alcuni anni or sono. L’area delle ex Cave Ghigliazza è interessata da un progetto di recupero ed urbanizzazione in corso di elaborazione.
Articolo n°5284, 28/11/2006.

ArcheoNews


LA STATUA DI PASHERIENASET




La scultura che ritrae idealmente Pasherienaset, presenta la superficie liscia e la struttura
compatta tipiche della produzione statuaria della XXVI dinastia (664-525 a.C.) – detta saitica,
dalla città di origine dei suoi sovrani, Sais, nel Delta occidentale – la cui cultura e i cui gusti
erano rivolti al glorioso passato del Paese, e che ha rappresentato l’ultimo momento di
indipendenza politica dell’Egitto.
Questa tendenza, espressa attraverso scelte stilistiche e iconografiche “arcaiche”, rinnovate e
reinterpretate con la maturità tecnica e la maniera proprie del periodo, si manifesta nella
tipologia e nella forma generale, nell’atteggiamento e nel costume, che riecheggiano opere
regali della IV dinastia (2575-2465 a.C.).
L’idealizzazione del corpo, ritratto nella pienezza del vigore e inscritto in uno schema formale
che conferisce un’apparente fissità alla figura, adempiva pienamente ai requisiti di completezza
e perfezione che la vita ultraterrena esigeva.
L’emozionante contatto diretto consente di apprezzarne la compattezza generata dalla forte
coesione dei volumi delle varie parti del corpo, i quali si iscrivono nel blocco litico originario
dal quale il personaggio sembra emergere senza che ne siano liberate né le braccia ben
modellate, né le gambe con malleolo e piede ben evidenziati.
Particolari come le clavicole emergenti alla base del collo, l’ampiezza dei muscoli pettorali con
capezzolo evidenziato e la lunga depressione mediana che divide verticalmente le fasce
muscolari del torso, consentono di datare l’opera alla prima metà della XXVI dinastia.
Ritratto di un sacerdote.
L’immagine, alta 25 centimetri, poggia su una base parallelepipeda ed è addossata a un pilastro
dorsale. Pasherienaset è ritratto in piedi, la gamba sinistra avanzata rispetto alla destra: il
movimento conferito alla figura da questo incedere si contrappone alla staticità della parte
superiore del corpo, con busto eretto e braccia tese lungo i fianchi. Il sacerdote indossa un
gonnellino corto, formato da un tessuto di lino drappeggiato attorno ai fianchi e trattenuto da
una semplice cintura a nastro; tale indumento, shendyt in antico egiziano, era tradizionalmente
portato dai sovrani con significato paragonabile a quello degli emblemi regali. Il capo è coperto
da una voluminosa parrucca liscia di
lunghezza media, che scende bassa sulla fronte e lascia scoperte le orecchie. Il volto, pieno e di
carattere giovanile, ha tratti somatici enfatizzati, tra cui spiccano i grandi occhi sormontati da
sopracciglia arcuate, il naso lievemente camuso, la bocca dalle labbra carnose e gli zigomi, alti e
prominenti.
L’iscrizione
Il pilastro dorsale reca l’iscrizione volta a identificare la statua al suo proprietario. Disposti su
due colonne senza divisori verticali, i caratteri geroglifici, lineari ed eseguiti con incisione
nitida e sicura, compongono il nome, i titoli e la genealogia di Pasherienaset. Sulla colonna di
destra inizia la consueta formula d’offerta:


“Offerta che dona il re a Horo di Behedet, Dio Grande e Signore
del Cielo, (affinché) conceda offerte (consistenti) in pane e birra al
servitore di Horo, servitore della Dorata, sacerdote di Osiride
Khentisehnetjer, sacerdote di Iside-Hededet, assistente della terza
phylae e sacerdote di Iside-Menset, Pasherienaset giustificato,
figlio del primo sacerdote di Horo di Behedet e servitore della
Dorata, Padiaabehedet (giustificato), figlio del profeta di Amon in
Karnak e sovrintendente ai sacerdoti di Horo di Behedet, Patjenfi
giustificato”.


Secondo le credenze degli Egizi, al momento della morte i vari elementi spirituali, le “anime”,
che compongono un uomo si separano dal corpo. Se il corpo si preserva intatto, ad esso si
ricongiungono e, rianimandolo in eterno, danno inizio alla “seconda” vita. Ma se il corpo
viene distrutto, solo la statua che reca il nome può sostituirlo.
Questa statuetta rappresenta quindi, per Pasherienaset, la garanzia di possedere una dimora
eterna per il suo ka, ovvero l’energia vitale.