martedì 12 maggio 2009

LA STATUA DI PASHERIENASET




La scultura che ritrae idealmente Pasherienaset, presenta la superficie liscia e la struttura
compatta tipiche della produzione statuaria della XXVI dinastia (664-525 a.C.) – detta saitica,
dalla città di origine dei suoi sovrani, Sais, nel Delta occidentale – la cui cultura e i cui gusti
erano rivolti al glorioso passato del Paese, e che ha rappresentato l’ultimo momento di
indipendenza politica dell’Egitto.
Questa tendenza, espressa attraverso scelte stilistiche e iconografiche “arcaiche”, rinnovate e
reinterpretate con la maturità tecnica e la maniera proprie del periodo, si manifesta nella
tipologia e nella forma generale, nell’atteggiamento e nel costume, che riecheggiano opere
regali della IV dinastia (2575-2465 a.C.).
L’idealizzazione del corpo, ritratto nella pienezza del vigore e inscritto in uno schema formale
che conferisce un’apparente fissità alla figura, adempiva pienamente ai requisiti di completezza
e perfezione che la vita ultraterrena esigeva.
L’emozionante contatto diretto consente di apprezzarne la compattezza generata dalla forte
coesione dei volumi delle varie parti del corpo, i quali si iscrivono nel blocco litico originario
dal quale il personaggio sembra emergere senza che ne siano liberate né le braccia ben
modellate, né le gambe con malleolo e piede ben evidenziati.
Particolari come le clavicole emergenti alla base del collo, l’ampiezza dei muscoli pettorali con
capezzolo evidenziato e la lunga depressione mediana che divide verticalmente le fasce
muscolari del torso, consentono di datare l’opera alla prima metà della XXVI dinastia.
Ritratto di un sacerdote.
L’immagine, alta 25 centimetri, poggia su una base parallelepipeda ed è addossata a un pilastro
dorsale. Pasherienaset è ritratto in piedi, la gamba sinistra avanzata rispetto alla destra: il
movimento conferito alla figura da questo incedere si contrappone alla staticità della parte
superiore del corpo, con busto eretto e braccia tese lungo i fianchi. Il sacerdote indossa un
gonnellino corto, formato da un tessuto di lino drappeggiato attorno ai fianchi e trattenuto da
una semplice cintura a nastro; tale indumento, shendyt in antico egiziano, era tradizionalmente
portato dai sovrani con significato paragonabile a quello degli emblemi regali. Il capo è coperto
da una voluminosa parrucca liscia di
lunghezza media, che scende bassa sulla fronte e lascia scoperte le orecchie. Il volto, pieno e di
carattere giovanile, ha tratti somatici enfatizzati, tra cui spiccano i grandi occhi sormontati da
sopracciglia arcuate, il naso lievemente camuso, la bocca dalle labbra carnose e gli zigomi, alti e
prominenti.
L’iscrizione
Il pilastro dorsale reca l’iscrizione volta a identificare la statua al suo proprietario. Disposti su
due colonne senza divisori verticali, i caratteri geroglifici, lineari ed eseguiti con incisione
nitida e sicura, compongono il nome, i titoli e la genealogia di Pasherienaset. Sulla colonna di
destra inizia la consueta formula d’offerta:


“Offerta che dona il re a Horo di Behedet, Dio Grande e Signore
del Cielo, (affinché) conceda offerte (consistenti) in pane e birra al
servitore di Horo, servitore della Dorata, sacerdote di Osiride
Khentisehnetjer, sacerdote di Iside-Hededet, assistente della terza
phylae e sacerdote di Iside-Menset, Pasherienaset giustificato,
figlio del primo sacerdote di Horo di Behedet e servitore della
Dorata, Padiaabehedet (giustificato), figlio del profeta di Amon in
Karnak e sovrintendente ai sacerdoti di Horo di Behedet, Patjenfi
giustificato”.


Secondo le credenze degli Egizi, al momento della morte i vari elementi spirituali, le “anime”,
che compongono un uomo si separano dal corpo. Se il corpo si preserva intatto, ad esso si
ricongiungono e, rianimandolo in eterno, danno inizio alla “seconda” vita. Ma se il corpo
viene distrutto, solo la statua che reca il nome può sostituirlo.
Questa statuetta rappresenta quindi, per Pasherienaset, la garanzia di possedere una dimora
eterna per il suo ka, ovvero l’energia vitale.

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